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Un Dio che delude
di don Giampaolo Dianin Dalle consolazioni di Dio al Dio delle consolazioni Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo […]

di don Giampaolo Dianin

Dalle consolazioni di Dio al Dio delle consolazioni

Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.  Chi mangia questo pane vivrà in eterno».  (Giovanni 6,1-14)

Il sesto capitolo del Vangelo di Giovanni iniziava con il racconto della moltiplicazione dei pani: il Dio che tutti vorremmo avere. Possiamo riconoscere che tante volte nella nostra vita Gesù ha moltiplicato il pane, che ci sono cose non scontate che avrebbero potuto non esserci nella nostra vita. Possiamo cercare quel filo che lega i passi che abbiamo fatto e che nella fede possiamo riconoscere come il filo della provvidenza, il segno del suo amore per noi.

Possiamo anche riconoscere, però, un Dio che ci ha deluso. Ci sono tante luci nella nostra vita ma non sono mancate le ombre e tante volte potrebbe essere emersa anche dalla nostra bocca la frase che tanti cristiani pronunciano: «Cosa ho fatto di male per meritare questo».

Dopo la moltiplicazione dei pani la folla è esaltata. Gesù si defila, attraversa il lago e va a Cafarnao. La folla non lo vede più e gli corre dietro. Lo trovano a Cafarnao e un po’ lo rimproverano: «Rabbì, quando sei venuto qui?»

E’ una frase terribile, se ci pensate; loro si sentono padroni di Gesù, lui dovrebbe chiedere il permesso per allontanarsi da loro. Se infatti avessero bisogno di un miracoletto lui dovrebbe essere là disponibile. Ma tante volte noi ci comportiamo così: quante persone vivono la loro vita lontano da Dio ma quando succede qualcosa, di colpo diventano devoti e attendono che Dio risponda, e se non lo fa si arrabbiano. Sono un po’ come coloro che non pagano le tasse ma si lamentano se le strade non sono ben asfaltate.

Gesù risponde con un po’ di amarezza: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni ma perché vi ho dato da mangiare». C’è una differenza tra segno e miracolo. Il segno è sì un miracolo ma è un miracolo che mi porta oltre per cercare colui che l’ha fatto. Il miracolo invece evidenza il fatto straordinario e basta.

Nella sinagoga di Cafarnao Gesù comincia una lunga catechesi su un altro pane che è la sua stessa persona. Quel pane moltiplicato, donato per tutti e per ciascuno, era il segno che rimandava a un altro pane che è la persona stessa di Gesù. Comincia anche un confronto perché le persone fanno fatica a capire quei discorsi.

Alla fine Giovanni commenta così: «Da quel momento molti dei discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui». A che ci serve un Gesù così? A noi va bene il Gesù che ci sfama, che ci risolve i problemi. Il Gesù che fa questi discorsi non ci interessa. 

Credo si tratti di un’esperienza molto comune anche nella semplicità delle nostre parrocchie. Ci sono cose belle che attraggono: animare un grest, frequentare il patronato, partecipare ad attività simpatiche. Poi quando arrivano i momenti formativi, i ritiri, la preghiera, la Messa… questo Gesù non interessa. Abbiamo altro da fare.

Ma c’è anche qualcosa di più profondo. A volte Gesù non moltiplica nemmeno il pane. Preghiamo e non risponde, chiediamo e non ci ascolta, facciamo certe cose ma ci annoiano.

«Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?» E Gesù rincara la dose. Vedrete altre cose che vi scandalizzeranno ancora di più. Quando vedrete la croce penserete che il vostro Gesù dei miracoli è un povero fallito. Gesù sa che molti non credono e sa anche che qualcuno l’avrebbe tradito. L’incontro con il vero Gesù non è facile. Gesù dice che è un dono. «E’ lo Spirito che dà la vita».

Per entrare nel mistero di Gesù serve il dono dello Spirito ma serve anche la disponibilità a lasciarsi condurre dallo Spirito. Serve soprattutto la fede, cioè la fiducia che quel Gesù che ha moltiplicato i pani non ci ha né fregato né illuso ma che continua a prendersi cura di noi.

Gesù un po’ amareggiato si rivolge ai suoi amici più stretti e con tristezza dice: «Volete andarvene anche voi?» E qui arriva la professione di fede e di fiducia di Pietro. «Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il santo di Dio». Sono tre affermazioni che meritano di essere approfondite con un po’ di pazienza.

Signore da chi andremo? Pietro riconosce che quella relazione non è una delle tante. Quanto hanno vissuto con Gesù rimane un punto fermo della loro esistenza. Pietro sembra dire: adesso che abbiamo conosciuto l’oro non possiamo tornare alla bigiotteria. Per carità non è da scartare nemmeno quella ma c’è un di più che tu ci hai regalato e che le delusioni non possono cancellare.

Tu hai parole di vita eterna. Pietro non richiama i miracoli ma le parole, le verità che Gesù ha rivelato, il senso della vita che lui ha consegnato loro. La bellezza e il fascino della sua proposta di vita.

Noi abbiamo creduto e conosciuto. Sono due verbi importanti e la loro sequenza non è sbagliata. Verrebbe da dire che prima si conosce e poi si crede. Invece Pietro dice: ci siamo fidati e abbiamo scoperto chi sei. Questa è la dinamica di ogni esperienza d’amore. Non si studiano le persone per poi decidere di amarle; ci si fida, ci si mette insieme e in questa relazione si conosce, si scopre, si incontra.

E in ogni relazione ci sono le cose belle che tu mi puoi dare, c’è il pane che moltiplichi per me, ma ci sono anche delle delusioni. Tu non sei come io vorrei o pretenderei; tu non sei a mio servizio; tu non sei un oggetto e nemmeno un’assicurazione sulla vita; tu sei tu.

Pietro sembra dire così: ci siamo fidati e tra noi è nato qualcosa di grande che nemmeno le delusioni possono cancellare.

Tu sei più delle delusioni che ci possono essere.

Tu conti per quello che sei, non per quello che ci dai.

Non si fonda sul calcolo dei costi e benefici la nostra relazione con te.

Anzi, queste delusioni ci fanno bene perché ci accompagnano a capire ancora di più chi tu sei. Non sei il Gesù che risolve i problemi. Non sei un’assicurazione contro gli imprevisti della vita. Non sei il garante che non ci ammaleremo mai, che non moriremo, che saremo sereni e felici.

Tu sei colui che ci può aiutare a vivere la nostra vita in modo diverso. Le tue parole ci nutrono, il tuo pane ci dà forza, il tuo amore ci fa sentire che siamo importanti, le tue promesse sono affidabili, il tuo perdono certo, il tuo rispetto di noi e della nostra libertà è assoluto ma il tuo attenderci sempre lo è altrettanto.

Tu sei colui che parla e a volte anche colui che non sento più; colui che vedo e a volte non riesco più a vedere. Tu sei colui che asciuga le lacrime e a volte sembri incurante del mio dolore ma so che ci sei.

Tu sei il Padre misericordioso, Tu sei amico e fratello, tu sei il buon samaritano, tu sei il pastore che si preoccupa di ogni pecora, tu sei la gioia e il sorriso di vedermi tornare, tu sei luce, forza, roccia, sicurezza, tenerezza, coraggio.

Ben vengano le delusioni perché ci purificano e ci fanno incontrare non il Dio che vorremmo ma quello che tu sei veramente. E ci rendiamo conto che non avremo mai finito di scoprirti e di stupirci. Ecco perché non sapremmo dove andare lontano da te e se anche ce ne andassimo la nostalgia di te ci farebbe ritornare.

Ci potremmo chiedere oggi da che parte noi siamo: dalla parte della folla sfamata che poi però se ne va perché Gesù li ha delusi dopo averli sfamati o dalla parte di Pietro che sente un’attrazione per Gesù che va oltre le cose che Gesù gli può dare. La vita cristiana matura è il passaggio dalle consolazioni di Dio al Dio delle consolazioni.


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