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Oltre l'indifferenza, la Vita.
Per annunciare la vita ci vuole tenerezza, molta delicatezza e discernimento poiché, proclamare la meraviglia dal concepimento alla morte naturale, significa toccare i cuori agitati di tutte le persone coinvolte ed essere, per loro, occasione di carità.

di Giulia Bovassi

Per che cosa stai vivendo tu? La nostra storia è un compito che abbiamo in custodia, simile ad una matriosca: vi è tutto nel nome, involucro unico e irripetibile dentro il quale la tana, il rifugio sicuro, la nostra interiorità, dà sostanza all'elenco di dati biografici che, spesso oggi, più che indicare solamente, definiscono chi siamo.

Equilibrio facilissimo da sbilanciare e complesso da riconoscere. Nel mio libro dico spesso che noi possiamo dire “io” e dispiegare un mondo. Dentro la nostra storia incanaliamo la verità, e quando questa viene inserita nella storia di qualcuno, lascia traccia.

Da questo nasce la responsabilità: essere nel mondo significa accorgersi dell'altro, prestare attenzione incondizionata, disancorata dall'interesse, mentre quel “qualcuno”, diverso da noi, ci guarda negli occhi. Non di spalle, non a distanza, non idealmente, ma davanti, così che non possa sfuggire la bellezza, che parte proprio da un riconoscimento fra pari, ugualmente voluti, ugualmente amati, fratelli. L'indifferenza è totalizzante, mentre la generosità, che scaturisce dal prendersi cura dell'altro, libera dalla costrizione del suo dolore. Riempie i vuoti reciproci.

Per che cosa stai vivendo tu? L'errore è lo strumento più umano che abbiamo per dirci e dire qualcosa di più su noi stessi. Vivere l'istante. Perché moltissime persone nel tempo indeterminato, finale, della loro vita terrena, supplicano o sperano di essere vigili e coscienti? La risposta è che in quella parentesi temuta e arrivata, la coda musicale della nostra vita, siamo impotenti. Non possiamo possedere più nulla perché abbiamo bisogno di tutto l'astratto, il non-contrattuale, che ci sazia.

Gratitudine e Beni imperituri. Quel tutto per cui vale la pena aver vissuto, diverso dal tutto spendibile per appagare il piacere. Il movimento rumoroso di quel guazzabuglio di sensazioni dove, fra timore e sollievo, siamo nudi e accarezzati dal nostro essere stati «chiamati per nome» dal valore sanante. Occasione di umanità. L'istante in cui chi ha bisogno, chiede, donando la sua storia: uniamo il dono di Colui che ci ha voluti per noi stessi, alla restituzione di quel dono reso fecondo da una vita piena, un'esistenza ricca di senso.

In questo momento non c'è il peso di dover dimostrare risultati: non meritiamo di essere degni, lo siamo perché ci vediamo nudi, come alla nascita. Senza nulla, incarniamo la completezza. Oggi, fin troppo spesso, il medesimo errore, che ci giustifica uomini, viene tradotto con “inefficienza”, “bassa qualità”, “sconvenienza” e ciò si ripete nella storia come una drammatica etica della disuguaglianza. È paradossale se pensiamo che la società in cui viviamo si nutre del ruolo di portavoce della tolleranza pura, quando poi, per vedere nell'altro quel compito affidato a noi (che altro non è se non il gusto dell'umanitario, collante globale superiore ad ogni differenza) spesso anteponiamo la presuntuosa pretesa che l'altro debba essere degno secondo il nostro giudizio o necessità, che sia uguale solo se la sua vita non è d'ostacolo alla nostra idea di benessere (fatta coincidere con felicità).

Il passaggio che ci porta a ragionamenti malati nei quali alcuni di noi, ammettendo una specie di gerarchia fra simili, sente l'autorità di decidere della e sulla vita o morte di altri esseri umani, è quantificare la grandezza delle creature di Dio con parametri poveri: produttività, funzionalità, efficienza, criteri selettivi dipendenti da una sbagliata comprensione della nostra identità corporea, psicologica e spirituale.

Ci soffermiamo talmente tanto sulla carne (che non è la corporeità) che da un lato puntiamo tutto su di essa e dall'altro, quando è conveniente, smettiamo di sentirci spiriti incarnati e abbandoniamo l'unità di anima e corpo per far scadere il secondo in un oggetto disponibile, commercializzabile. Il “difetto” sembra a tal punto scomodo da non richiamare più la vera uguaglianza, che è sorgente di carità e compassione, piuttosto l'asservimento di strutture individualistiche ed egoistiche.

Capiamo perché il momento cruciale per noi è proprio quello in cui non abbiamo più nulla da guadagnare, più nulla che possa servirci? Perché è la via di scampo da una vita condotta diventando estranei a noi stessi, con molti “avrei voluto..” finali e pochi “rifarei”.

Oggi, si celebra la Giornata per la Vita. Non ho cercato, di proposito, una riflessione sui temi caldi di chi si spende per la Vita, proprio perché esporsi a sua difesa è una sforzo radicale da definirsi pienamente esistenziale: proprio perché accomunati dai caratteri della nostra umanità, dall'origine ala fine, queste battaglie di valori fanno appello, prima o poi, a tutti, ragion per cui penso sia fondamentale andare alle radici e plasmare con coscienza e consapevolezza affinché l'essere testimoni della Vita sia non solo una teorizzazione, ma una vera e propria conversione.

Ci vuole tenerezza, molta delicatezza e discernimento poiché, proclamare la meraviglia dal concepimento alla morte naturale, significa toccare i cuori agitati di tutte le persone coinvolte ed essere, per loro, occasione di carità. Oggi celebrare la Vita è un vero atto rivoluzionario e spesso spaventa, trascinando con sé un seguito di percosse e sacrifici, ma è necessario che tutti, singolarmente, smettiamo di ignorare la corresponsabilità che abbiamo, tanto agendo quanto restando fermi.

Il cambiamento non aspetta i tiepidi e, in questi casi, una parola, un gesto, potrebbe salvare una Vita. La «crisi di umanità» non ha bisogno di spettatori, ma di attori che sollevino dall'angoscia del futuro: dove persiste il tutto della Vita, infatti, soccombe il nulla della morte. Quindi il mio invito oggi è di essere, ognuno secondo le capacità e le modalità a cui è chiamato, portatori di Vita, presenza di Verità, affinché fra gli uomini torni lo stupore per la nostra natura prima che questa venga convertita in un neutro sottoprodotto insostenibile.


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